FAQ
FAQ sul Diritto del lavoro
L’art. 6 della legge n. 604/1966 stabilisce che il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo debba essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione.
Non ricorre per il lavoratore l’obbligo di impugnare un licenziamento intimato oralmente, stante la assoluta inefficacia dello stesso. Peraltro, l’art. 2 della legge n. 604/1966 prevede che il licenziamento debba essere intimato per iscritto.
Entro quindici giorni dall’intimazione il lavoratore potrà chiederne la motivazione, che il datore di lavoro avrà l’obbligo di comunicare nei successivi sette giorni, pena inefficacia del licenziamento.
Ai sensi dell’art. 2103, comma 2, del Codice civile, il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
In buona sostanza, il datore di lavoro non può arbitrariamente disporre il trasferimento di lavoratori senza provare l’esistenza di un motivo che oggettivamente giustifichi il trasferimento.
Grava sul datore di lavoro l’onere di provare che la permanenza del lavoratore all’interno dell’unità produttiva possa compromettere l’organizzazione del lavoro.
Ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, il lavoratore ha a disposizione tre diverse procedure di impugnazione:
- il ricorso presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
- il ricorso all’autorità giudiziaria;
- le eventuali procedure alternative previste dal contratto di collettivo di riferimento.
Nel primo caso, il ricorso va presentato entro il termine di venti giorni dall’irrogazione della sanzione all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente. Da segnalare che durante lo svolgimento della procedura la sanzione rimane sospesa.
L’Ispettorato del lavoro nomina un collegio di conciliazione, la cui decisione ha valore di lodo arbitrale irrituale, pertanto l’eventuale sua impugnazione davanti l’Autorità giudiziaria è circoscritta ad alcuni motivi specifici elencati all’art. 808-ter del Codice di procedura civile.
Diversamente, con il ricorso all’autorità giudiziaria viene instaurato un vero e proprio giudizio civile. Il termine di prescrizione è pari a 10 anni.
FAQ sul Diritto di famiglia e successorio
In caso di separazione consensuale, i coniugi raggiungono in autonomia un accordo su tutte le questioni, dall’affidamento dei figli agli aspetti patrimoniali. Tale accordo deve essere confermato davanti al Presidente del Tribunale tramite un’unica udienza che, solitamente, viene fissata nell’arco di qualche mese.
Dopo tale udienza, il Tribunale omologa l’accordo ed i coniugi sono separati.
Diversamente, la separazione giudiziale presuppone una perdurante contrapposizione tra i coniugi. Pertanto, tale tipo di giudizio può durare anche anni, soprattutto se vi sono forti frizioni in merito all’affidamento dei figli o al mantenimento del coniuge economicamente più debole.
La domanda di divorzio è proponibile dopo un anno (6 mesi in caso di separazione consensuale) di ininterrotta separazione a far tempo dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del Tribunale.
Tale termine decorre dall’udienza presidenziale nella quale è stato emesso il provvedimento di autorizzazione dei coniugi a vivere separati, anche se la sentenza di separazione o il decreto di omologa del Tribunale interviene in un momento successivo.
L’amministratore di sostegno deve:
- informare il soggetto beneficiario circa gli atti da compiere, rispettandone aspirazioni e bisogni;
- informare il Giudice Tutelare in caso di dissenso con il beneficiario;
- presentare al Giudice Tutelare, in base alla scadenza stabilita nel decreto di nomina, una relazione sull’attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Peraltro, i compiti cui deve provvedere l’amministratore di sostegno sono precisati nel decreto di nomina.
Lo stesso beneficiario, il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il 4° grado e gli affini entro il 2° grado, il tutore, il curatore, il pubblico ministero ed i servizi sanitari e sociali pubblici e privati.
Il Giudice Tutelare deve preferire il coniuge, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, i figli, il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal ricorrente ove reputato in grado di tener conto degli interessi, dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.
FAQ su Privacy e Data Protection
In primo luogo va inoltrata una richiesta di esercizio dei diritti al titolare del trattamento, il quale è tenuto a rispondere alla richiesta entro il termine di 1 mese (ovvero, in caso di richieste numerose e/o complesse, entro il termine di 2 mesi).
Se la risposta non viene ritenuta adeguata o non perviene nei tempi indicati, è possibile proporre gratuitamente un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell’art 77 del Gdpr. In alternativa, rimane sempre possibile adire l’autorità giudiziaria.
La violazione di dati personali consiste nella – accidentale o illecita – distruzione, perdita, modifica, divulgazione non autorizzata o accesso a dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.
In tale evenienza l’azienda (in gergo, il titolare del trattamento) senza ingiustificato ritardo – ove possibile entro 72 ore dal momento in cui ne è venuto a conoscenza – deve notificare la violazione al Garante per la protezione dei dati personali, a meno che risulti improbabile che la violazione dei dati personali comporti un rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche.
A prescindere dalla notifica al Garante, il titolare del trattamento deve documentare tutte le evidenze e le misure adottate in risposta alla violazione.
La rilevazione in tempo reale della temperatura corporea, se associata all’identità dell’interessato, costituisce un trattamento di dati personali.
In linea con il principio di minimizzazione di cui all’art 5, par. 1 lett. c) del GDPR, è consentita la registrazione della sola circostanza del superamento della soglia stabilita dalla legge, e non la registrazione del dato relativo alla temperatura corporea rilevata.
FAQ su Compliance al D.lgs. 231/2001
Il Modello 231, ad oggi, non è obbligatorio e le imprese che non lo adottano non si espongono a sanzioni. Tuttavia, rimane la responsabilità dell’impresa in caso di illeciti realizzati da amministratori e dipendenti nell’interesse ed a vantaggio dell’impresa.
Peraltro, la valutazione dei rischi di commissione dei reati presupposto elencati nel D.lgs. 231/2001 rientra tra i doveri degli amministratori ai sensi degli artt. 381, quinto comma, e 2403 del Codice civile.
Si segnala infine che è al vaglio delle Camere un disegno di legge che mira ad introdurre l’obbligatorietà del Modello Organizzativo 231 per numerose realtà aziendali.
Gli autori dei reati presupposti possono essere:
- soggetti “apicali”, ovvero le persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione e direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitino anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso (componenti dei consigli di amministrazione, amministratori delegati, direttori generali, R.S.P.P. ecc.);
- soggetti “subordinati”, cioè le persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali, compresi agenti e consulenti esterni.